RIBADISO DE BAIXO-SANTIAGO DE COMPOSTELA
02/08/2002

 

L'arrivo.

 

La meta, come detto ieri, ha due punti di vista estremamente differenti. La gioia per aver compiuto il proprio Camino, per aver raggiunto con le proprie gambe e le proprie forze ciò che ci si era prefissati. Per la bellezza dei luoghi che si vanno a toccare, per il fatto di ritrovare alcuni degli amici e dei compagni di viaggio incontrati. Ma spesso c'è anche la paura di rimanere delusi, attendendosi qualcosa di più, di portentoso e prodigioso. In realtà e qualcosa di entrambi e nessuno dei due. E' solo, e questo mi conferma ciò che penso in pieno e mi rende estremamente felice visti gli obiettivi posti in partenza, un punto a capo di un discorso che non finisce e che andrà avanti. Il tutto condito da una grande emozione che veramente ti fa sussultare il cuore nel petto. Ti senti grande per quello che hai fatto e, nello stesso tempo, mai così vicino a Dio, e quindi estremamente piccolo, sotto le guglie della Cattedrale dell'Apostolo. Ti viene da pensare a ciò che potevano pensare i pellegrini di 700-800 anni fa che arrivavano, chissà da dove, senza aver visto televisioni e foto, con meno cattedrali in mezzo, senza servizi, con tanti pericoli e paure lungo la strada e con il pensiero, dopo poco, di dover ripartire da capo, ancora con i propri piedi, verso le proprie origini. Eppure uno si sente partecipe di quella gioia. Gli ultimi passi sono difficili, affannosi, anche perché si ha 750 chilometri sulle gambe, ma anche per gestirsi quel sapore che tra poco, entrati nel Portico del Maestro Mateo, potrebbe non essere più lo stesso. Ma nello stesso tempo c'è anche la voglia di arrivare, di finirla perché….l'esperienza è stata comunque lunga, faticosa, perché i propri cari mancano e perché, comunque, si vuole sempre tutto e subito. Ed anche perché, e di questo me ne stò facendo una convinzione, il pellegrinaggio, che merita il rispetto dei propri tempi e che deve essere "succhiato nel profondo del suo midollo", deve avere una sua fine fisica ed una sua missione. Non è turismo in cui si può traccheggiare. Compito primo del pellegrino, che è comunque segno e testimonianza, è come quello delle donne che la mattina di Pasqua si recavano al Sepolcro di Cristo, il correre ad annunciare la lieta novella, trasmettere a chi ti stà accanto tutti i giorni ed a più persone possibili la tua esperienza, in modo che ognuno possa fare la propria. Un "illuminato" passaparola che porti quel seme che, gettato negli altri con abbondanza, come dal seminatore, cresca e dia frutto. E si arriva ad avere un'altra sensazione, che io avevo già avuto a Roma, e che solo il "tagliare il traguardo finale" ti può dare. Quella che comunque, l'importante ed il bello del Camino non è tanto la meta, pur splendida, affascinante e commovente che essa sia: ma sta nel Camino stesso, nella tua vita, sofferenza, gioia, dolori, polvere, incontri che, quotidianamente hai fatto lungo le strade spagnole, lungo le strade della tua vita. Infondo non si vive per morire: ed è bene che la propria vita sia vissuta intensamente, apprezzandola anche nelle difficoltà, ed il Camino è ancora uno specchio fedele della vita di ciascuno di noi, anche del più "pantofolaio". L'arrivo è più la motivazione che ti ha spinto per tanti giorni, ma l'occasione che hai per sentirti vicino a Dio, agli altri, alla natura, a l'energia o a tutto ciò per cui ognuno è partito, la trovi lungo la via che porta al suo tempio, più che al suo interno stesso. Ma alla base di tutto, oltre a queste mie riflessioni, del tutto personali, e che forse in alcuni momenti ti fanno sentire più grande ed importante di quanto il tuo ruolo rivesta realmente, è che, come esistono miliardi di Camini, che nei secoli sono stati camminati sulla stessa strada, esistono miliardi di arrivi e miliardi di sensazioni che un foglio di carta ed un filo di inchiostro difficilmente riescono a fermare.

Rinfrancato dallo spaghetto della sera precedente, parto con Graziano e Paolo, un po' più tardi del solito, ma ancora una volta nella nebbia ed ancora una volta nell'oscurità. Paolo è ormai nostro compagno buono e piacevole, che ha deciso di rallentare il suo rapido passo da orso friulano per camminare con noi. Forse perché in tre ci si fa più forza prima dell'arrivo così importante. Non ci importa di fare la solita corsa, ne a che ora arriveremo. Vogliamo fare con calma, godendoci, anche se con qualche acciacco le ultime ore di Camino, in modo da non arrivare stravolti a raggiungere la meta. Io mi sento meglio. Riusciamo così, senza forzare, a mantenere un'andatura abbastanza sostenuta. Il percorso, solo a tratti strada asfaltata, ci agevola: pur essendo sempre lo stesso saliscendi, si tratta di rilievi meno importanti, più dolci con tratti sabbiosi immersi tra boschi di castagni, eucalipti e pini. Ci spinge una frugale colazione ed i primi 20 chilometri passano che neanche te ne accorgi, tra qualche chiacchiera che spazia dal sistema scolastico al ciclismo, da Dio al costo della vita, intervallati da incontri ed incoraggiamenti con diversi pellegrini. Passiamo il rifugio di Santa Irene e quello di O'Pino, prima che un conveniente supermercato in un piccolo paese alle porte dell'aeroporto di Labacolla ci offra la possibilità di mangiare e di prendere alcune cose che ci servono. Da qui ripartiamo poco prima delle 13.30. La strada si impenna subito e ti porta ai piedi dell'aeroporto. Niente di particolarmente difficile, ma ora tutto pesa. Qui c'è la sorpresa. Ma d'altronde eravamo partiti con dei cartelli poco affidabili e così dovevamo chiudere. Sorpresa di cui tenere conto quando si programmeranno le ultime tappe: dalla realizzazione dell'aeroporto il percorso lo aggira ma i cippi, in precedenza, non sono stati sostituiti. Così ad un tratto da 12 chilometri, si ribalza ad oltre 15, trasformando la nostra tappa da 40 a 43 chilometri. Uno pensa: infondo è poco più di mezzora in più. Vero, ma si ha la sensazione di essere un asino a cui continuano ad allontanare la carota. Ma pazienza. Anche la pioggia, fine ed insistente, comincia a caderci addosso, ma nessuno sente il bisogno di coprirsi con la mantella. Ormai sull'asfalto, tra pini ed eucalipti e delle bellissime piante di erica, la strada sale ancora dopo Labacolla. Comincia a riscendere sul Gozo, passando fra capannoni e tra le grandi strutture di TV Galicia e TVE. Dal Gozo, al contrario di quanto si dice, Santiago la si vede poco e male. Ma è un'emozione comunque: ciò che si è sognato per settimane adesso è realtà ed il cuore ti sale in gola. Ai piedi dell'orribile monumento che ricorda la Giornata Mondiale della Gioventù dell'89, mi distendo a contemplare Santiago ed il cielo che il vento adesso stà spazzando. Ripenso a quando ci arrivai nel 99, all'amarezza di vedere i miei "compagni" della spedizione di 200 della diocesi festeggiare, come per un campionato del mondo, farsi foto, al cospetto della gioia meditativa e silenziosa, dei veri pellegrini che arrivavano mochilla in spalla. Stavolta sono veramente soddisfatto. Non posso che essere felice e ringraziare Dio per avermi, anche dopo varie prove, portato fin qui. Sarà orgoglio!? Ma stavolta posso dire di essere arrivato a testa alta. Con le spalle e gli stinchi a pezzi ripartiamo. La strada continua nel suo saliscendi ormai in Santiago. Prima incontriamo l'Albergue del Gozo. Una mostruosità unica, pur se comoda e nuovissima, fatta di struttura a schiera che si affacciano su di una piazza in cui due ristoranti ed alcune tiendas fanno bella mostra di se. Chi l'ha costruito (il centro funge in inverno anche da residenza universitaria) avrà pensato, in buona fede, di dare conforto ai pellegrini dopo tanti giorni di "stenti". Secondo me il cartello all'ingresso del Gozo, "Centro de Vacaciones", centro di vacanze, rende meglio l'idea. I cantieri, che stanno cambiando il volto della periferia di Santiago, ed i capannoni, lasciano il posto a case sempre più basse ed a vie più strette, via via che ci si avvicina al centro. Santiago è soprattutto questo: un carnevale, come ci dirà Ignaki, un nostro amico catalano che ritroveremo più tardi. Plaza de l'Obradorio ti si spalanca davanti dopo poco della porta del Camino e di un paio di chiesette secondarie. L'emozione è tanta. Ci mettiamo, ancora zaini in spalla e bastoni in mano, in fila dopo la bella scalinata per i riti caratteristici: la mano sulla colonna, le tre testate ai piedi della statua del Maestro Mateo, l'abbraccio al busto del Santo, la visita alla cripta. La cattedrale è molto più bella fuori che dentro, ma il momento è emozionante e le considerazioni artistiche passano in secondo piano. Preghiere dovute per chi ti vuole bene ed anche per chi ti vuole male e non crede in te, con alcune dediche particolari. A chi ti ha aiutato sul Camino, a chi il Camino lo ha fatto ed a chi lo farà: in fondo legati da qualcosa di trascendente ma molto forte. Usciamo soddisfatti. Ci dirigiamo all'Oficina del Peregrino. Non servirà ma ci consegnano la Compostela, il documento che attesta il tuo pellegrinaggio in latino. Alessio viene dal greco e non esiste nella lingua degli antichi romani. Mi viene affibbiato un improprio Alexandrum, ma poco importa. L'ultimo sello me lo faccio mettere accanto a quello della Parrocchia di San Lorenzo. Al ritorno andrò a farlo vedere a Don Giancarlo. Ne approfittiamo, io e Graziano, per fissare i biglietti del pulman per Barcellona (51 Ä, domenica alle 14,30 arrivo alle 8 del lunedì) e dal li, rispettivamente, per Milano e Firenze (93 Ä, partenza alle 17 di lunedì, arrivo martedì verso le 10). Da qui è la volta di una bella birra in compagnia di Ignaki, Pilar, Ramon e di due anziani amici messicani. Anche il sole torna a splendere limpido, alto nel cielo. Sembra l'ennesimo segnale: dopo pioggia e nuvole, il Signore sembra spalancare il suo sorriso ai pellegrini giunti a Santiago. Sarà suggestione ma è bello credere che sia così! Poi via verso il seminario minore (5 Ä, si può dormirci per tre notti anche se ogni giorno bisogna scendere e risalire, posto gradevole anche se grandissimo) respingendo le numerose proposte di anziani che ti assaltano offrendo camere ed appartamenti, anche a prezzi convenienti. Una bella doccia e c'è ancora il tempo per telefonare: nonna e mamma, che tanto hanno pregato per me, meritano di sapere che siamo a Santiago, che tutto va bene e che anch'io ho pregato per loro. Quindi di nuovo in Santiago. Una ricca cena senza riserve, con i prodotti tipici (Santiago è piena di bei localini ed anche abbastanza abbordabili come prezzo), e due passi nella bellissima Piazza dell'Obradorio illuminata. La luce ne esalta la bellezza, accompagnata da un gruppo popolare e da un suonatore di flamenco. Ci manca la Misa del Peregrino che prenderemo domenica prima di partire. Il pellegrinaggio è quasi finito. Anzi…è appena cominciato.