TRIACASTELA-FERREIROS
30/07/2002

 

L'acqua.

 

C'è poco da fare. Senz'altro è il bene più prezioso a disposizione del pellegrino. Parte integrante del Camino, come le persone che vi prendono parte. L'acqua dei torrenti che scendono dai Pirenei in Navarra, quella che manca nella Meseta, quella di nuovo abbondante in Leon, quella che rende verde la Galizia e quella, salata, che si spera di vedere, sull'Atlantico, al termine del Camino. Ma soprattutto quella che è indispensabile per andare avanti. Che è bene sempre avere dietro, anche a costo di caricarsi di un chilo in più. A parte nella Meseta, se ne trova un po' ovunque e, a parte i casi non indicati con la scritta No Potable e le fontane da cui attingono anche le bestie, è dovunque buona o comunque bevibile. Bere all'acqua di fonte, a dispetto dell'acqua minerale, dove si può, dall'idea di bere il succo del Camino, un Camino anche da bere. Ogni paese ha la sua fonte, spesso vicino alla chiesa. Le frecce le indicano come bene prezioso. Preziosa come quella che alla sera, fredda o calda che sia, ti permette di fare una doccia che ti riporta ad uno stato umano dopo una giornata di caldo, polvere e sudore. Per la quale si fa la fila in silenzio, cercando di sprecarne poca, cosa che ti fa valorizzare un bene di cui, a casa, non si controlla mai l'uso e lo spreco. Acqua amata, come quella dei fiumi o dei laghi nei quali ci si getta quando si è accaldati; acqua temuta che se cade dal cielo per diversi giorni rischia di compromettere i piani di viaggio oltre che riempire le strade di un fango che non si scolla. "Acqua che inonda e che disseta, acqua che annega, acqua che lava; che distrugge e che crea." E che il Signore ha messo davanti al pellegrino che con le parole di San Francesco, "Tanto umile e preziosa", può solo ringraziarla.

La tappa di oggi è iniziata in maniera tragica: con le ossa rotte dopo una notte senza dormire per un pavimento troppo duro per essere assunto a letto e per la confusione di tanti che, anche se non è bello giudicare, sono troppo poco pellegrini e soprattutto troppo svegli dopo un solo giorno di Camino e senza zaino in spalla. Questo è uno degli aspetti deleteri in Galizia: molti proprio da qui iniziano il proprio Camino, senza particolari asperità, spesso con accompagnamento, con molta meno "spiritualità", trasformando gli albergue in villaggi turistici che poco rispettano le esigenze dei molti pellegrini che spesso si sentono pesci fuor d'acqua in "casa propria". Muoversi così diventa una corsa al posto, per non dormire in terra, con tutto quello che di negativo, nello spirito del Camino, che questo comporta. Decidiamo dunque di partire alle 5.40, quando il sole anche perché siamo tra i monti e la giornata sembra nuvolosa, non ha neanche pensato di sorgere. La strada viaggia tra i boschi (decidiamo di non fare la deviazione per Samos, anche perché siamo stanchissimi, ma a chi ha tempo, per la bellezza del suo monastero, che fa anche da Albergue, è assolutamente consigliata) e ci dobbiamo per forza aiutare con le torce elettriche per almeno un paio d'ore. Il sentiero, che solo a tratti va ad intercettare l'asfalto, è molto pietroso e offre subito una asperità che, avvolti nei nostri pile, ci costringe ad una sudata strepitosa. . La salita è significativa per chi, come noi oggi, non ha benzina nelle gambe. Attraversiamo, tra gli ululati di cani da tenere d'occhio, un paio di piccoli paesi in cui il buio, solo in parte, nasconde le caratteristiche incontrate ieri: case semi abbandonate, letame un po' ovunque, odore insopportabile. Strano che in un paese che ha fatto strepitosi passi da gigante come la Spagna, questa Galizia, appaia almeno 40 anni indietro alle più elementari basi igieniche e di gestione agricola. La strada prosegue alternando asfalto e pietre, tra boschi di vecchi castagni e prati destinati a pascolo. Il saliscendi è continuo. Una nebbiolina fastidiosa, questa si, molto simile all'Irlanda, ci avvolge, pur in un clima caldo, allungando i tempi di arrivo della luce. Sembra debba piovere da un momento all'altro e questo grigiore aumenta la nostra stanchezza. I metri, ora segnalati ogni 500 da appositi cippi, sembrano non passare mai. Quando ormai la luce è abbastanza netta, raggiungiamo Sartia, il centro più importante della zona, dove ci concediamo una colazione che rialza almeno in parte il morale della truppa. Qui si sono cominciati a rendere conto che siamo nel 2002 e non nel 1902: stanno modernizzando una città già abbastanza nuova, curandola anche nelle rifiniture. Ma ancora vi si trova un campo di grano in pieno centro ed intere mandrie di mucche accompagnate da abbrutiti pastori in abiti tradizionali. Da qui, data una rapida occhiata alla chiesa, riparte la nostra marcia verso Ferreiros, dove vorremmo fermarci, sperando di trovare posto in un Albergue che ci è segnalato non grandissimo. Ancora un deciso saliscendi ci porta al cippo, rovinato dalle scritte dei soliti turisti, che segnala 100 chilometri da Santiago. Da un ristorante a 99,5 a Ferreiros, un chilometro dopo, tra case sperdute tra le coline e la solita immane quantità di letame, c'è una salita pietrosa ridotta ad uno scolo di acqua sporca. Il rifugio, al contrario, è molto pulito ed ospitale, costruito con i fondi del Xacobeo 99. Lo troviamo ancora chiuso e ci mettiamo in fila, insieme ad un'altra quindicina di pellegrini: oggi il letto non può sfuggirci. Alle 13.30 arriva una signora che sorridente lo apre. Il posto (donativo libero, uso cucina, anche se non ci sono negozi se non un ristorante) è composto da dei comodi letti a castello in legno. Il pomeriggio serve per recuperare energie e sonno, mentre fuori un fortissimo vento freddo cambia più volte lo scenario meteorologico. Come quello irlandese, il cielo di Galizia è come una donna che cambia spesso di umore. Le mucche di una vicina stalla ci passano più volte vicine. Ma ormai siamo abituati. E adesso per contare i chilometri da Santiago bastano solo due cifre.