HORNILLOS DEL CAMINO-BOADILLA DEL CAMINO
21/07/2002

 

I piedi.

 

Sono loro tra i principali protagonisti del Camino. Piedi martoriati ma mai così amati dai loro padroni. Non c'è sera che ognuno se li guardi e se li curi, tra il commento generale di chi assiste e che dispensa consigli in base alla propria esperienza. Se uno decide di fare il Camino deve pensare anche a questo: curare i propri piedi prima (con l'acquisto per tempo di scarpe e calzini adeguati), durante (con una cura minuziosa nella vestizione prima di partire ogni mattina) e dopo (magari con un bel pediluvio ove non sia necessario cucire una vescica o disinfettare una piaga). Infondo dipende da loro se il 1.100.000 passi non sarà un incubo e rispettarli veruna scelta che non è stata loro sembra dovuto. Ciascuno si renderà conto, al termine del proprio Camino, di conoscere questa parte di se molto più a fondo di quanto facesse prima e questo è già un passo avanti. Le scarpe hanno grande importanza: mai nuove, comode ma non troppo larghe, meglio se accompagnate da un paio di sandali che ti facciano respirare il piede durante le pause. Ma su questo è bene che ognuno faccia le proprie riflessioni e le proprie prove a casa, in modo da non ritrovarsi a spiacevoli sorprese.

Alla partenza di stamani subito una sorpresa: l'acqua non c'è più, stavolta neanche alla fontana del paese. Partiamo dunque anche a borracce vuote, lungo una strada che si alza subito verso una piatta e desolata meseta, con una salita tuttaltro che agevole da fare a freddo. Già di prima mattina comincia a fare caldo: le nuvole di ieri sono solo un piacevole ricordo. Fortuna che dopo circa 6 chilometri l'ostello di Arroyo di San Bol ci offre la possibilità di dissetarsi. Che peccato non essere venuti qua a dormire: il posto è davvero fantastico. Si tratta di una cupola isolata, persa in una profonda spaccatura della Meseta. Di prima mattina, grazie anche ai suoi "ospiti" sembra un centro di preghiera ecumenico nel centro del Camino, con la sua cupola blu con le stelle ed i murales che troneggiano sul muro di cinta. Un francese prega in faccia al sole, emettendo suoni gamma, qualcuno, dopo essersi unito alla preghiera al sole e dopo un segno di croce, si lancia gridando nella fontana gelata. Dopo una sosta ristoratrice, che ci permette di approfondire la conoscenza con una bella ragazza olandese venuta qua a cercare l'ispirazione per i propri quadri, ci rilanciamo nel nostro deserto giallo. Arriviamo ad Hontanas dove una signora anziana che sembra uscita da un vecchio documentario, ci aiuta a trovare la fonte. Ripartiamo lungo una piana che, a tratti, offre qualche albero che costeggia la strada per Castrojeriz. La strada è facile, e dopo aver aiutato una americana in difficoltà, raggiungiamo le rovine del convento di San Anton, dove facciamo rifornimento, conoscendo una famiglia italiana che ha fatto da Hospitalera a Puentefitero. Proprio li vogliamo arrivare per pranzo. Così prima ci guardiamo rapidamente Castrojeriz, che meriterebbe una visita più accurata se non fosse che, come tutte le domeniche, qui è chiuso tutto, tranne una piccola botteghina dove facciamo una ricca spesa. La strada, che lascia di nuovo l'asfalto, supera un ponte di legno e quindi si inerpica lungo una dura salita di poco meno di due chilometri che ti porta ad un altopiano ad oltre 900 metri. Dall'alto si domina Castrojeriz ed il suo castello, che rompano la monotonia di un paesaggio affascinante ma negli ultimi giorni un po' troppo uguale. Solo i cumuli di pietre ed i cartelli "Coto de Caza" ne spezzano la piattezza che il sole sembra accentuare. In questi momenti verrebbe voglia di essere una delle numerose mosche che ci perseguita e di volare via lontano rapidamente. Dopo poco la strada scende scoscesa, per raggiungere, dopo qualche chilometro la Fuente del Piojo e dopo qualche altro la vecchia chiesa di Puente Fitero, isolata nella campagna a due passi dal fiume, unico ostello gestito da italiani dell'intero Camino. Lo troviamo abbandonato, non aprirà prima delle 5. Ne approfittiamo per mangiare emettere i piedi a mollo. I 6 ragazzi pisani, dell'Ordine di Malta, che in questo periodo fanno da hospitaleri arrivano poco dopo nella loro divisa paramilitare. Sembrano piccoli soldatini che giocano alla guerra, ma fondamentalmente sono gentili e disponibili (l'albergo ha solo otto posti ed offre gratuitamente ai suoi ospiti lavanda di piedi, cena a base di pasta e colazione). Ripartiamo varcando il Pisuerga, che da un po' d'acqua e di vegetazione a tutta la zona. La strada è in piano, tra campi finalmente un po' più vari. Itero de la Vega è abbandonato a se stesso: tutti gli abitanti sono raccolti nell'unico bar, ancora una volta per seguire il Tour. In Spagna, malgrado tutto, il ciclismo ha ancora tanti seguaci. La strada sale tra campi di grano bruciati nelle loro stoppie, quindi lentamente cala sulla chiesa di Boadilla. Per oggi è sufficiente, anche perché il sole ci ha cotto abbastanza. Troviamo posto, sconfortati dall'Albergue municipale, presso l'albergo "En el Camino", nella piazza principale, gestito da Edoardo (4 Ä, 7 Ä per un'abbondante cena, doccia e disponibilità di internet) ambiente accogliente e familiare. La sera il vento soffia forte su Boadilla, portando via con se parte del caldo e della nostra fatica. Riusciamo anche a telefonare anche se va detto che, lungo il Camino, questo non è mai stato un problema. Un simpatico professore olandese, che è a cena al nostro tavolo ci dice: se siamo qui qualcuno lo vuole. Detto da lui, ateo dichiarato, fa ancora più impressione.