DOLEGNA

UNA TERRA ASBURGICA NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

DONATELLA PORCEDDA

 

 

 

ALBE DI LUNE

 

Jeve la lune plene,

al è ros a ponent;

il cîl al si serene

in tun moment.

 

(Pietro Zorutti)

 

 

Vista di Dolegna del Collio

 

 

 

 

 

Il Judrio a Lonzano

 

 

 

 

 

 

Abitazione rurale a Scrio'

 

 

 

 

 

 

 

Paesaggio a Restocina

 

 

 

 

 

 

 

Documenti Ottocenteschi conservati nella Pieve di Ruttars

 

 

UNA FELICE ISOLA ASBURGICA

 

Solo in casi eccezionali durante l'età moderna una piccola comunità rurale poteva lasciare testimonianza diretta di sé nei documenti scritti, base della ricerca storica.

A Dolegna questa occasione si presentò a metà Settecento, nell'ambito di un'annosa questione internazionale: la vertenza sui confini che contrapponeva Venezia e gli Asburgo da oltre due secoli.

Da quando l'imperatore Massimiliano I, venuto in possesso della Contea di Gorizia per patti ereditari nel 1500, tra il 1508 e il 1516 aveva conquistato militarmente, strappandoli ai Veneziani, anche estesi territori friulani già appartenuti al Patriarcato di Aquileia, né i trattati di pace (conclusi a Worms nel 1521), né i successivi negoziati diplomatici (avviati in sette distinte occasioni tra gli anni Venti e gli Ottanta del Cinquecento) e neppure la guerra aperta (la cosiddetta Guerra di Gradisca o degli Uscocchi tra il 1615 e il 1617) erano riusciti a fissare con certezza una linea di confine razionale tra le due potenze. Questa risultava anzi così contorta da incunearsi all'interno dei rispettivi territori, talvolta penetrandovi tanto profondamente da rinchiudersi su sé stessa a formare vere e proprie isole.

Se una tale situazione mobilitava periodicamente gli eserciti e la diplomazia delle corti europee, non era però solo materia di alta politica, bensì costituiva un grave problema quotidiano per la gente comune che viveva su questi contrastati territori. I confini incerti, infatti, dividevano comunità e possessi fondiari, corsi d'acqua e beni comunali destinati al pascolo o alla raccolta di legna: il loro sfruttamento era di vitale importanza in un'economia spesso di mera sussistenza quale quella contadina. Su di essi scoppiavano per questo frequenti scontri fra comunità rivali, che non si limitavano a spostamenti abusivi di pietre di confine, reciproche intimidazioni o sequestri d'animali, ma degeneravano con sempre maggior frequenza in risse violente e omicidi, creando ai governi di entrambi gli stati contermini anche seri problemi di ordine pubblico.

L'esigenza di risolvere proprio questo tipo di conflittualità divenne la linea ispiratrice delle trattative sui confini riprese nel Settecento e in particolare della commissione costituita a questo scopo nel 1750, composta per parte veneta da Giovanni Donado e per parte austriaca dal capitano di Gradisca Antonio de Fin e dal luogotenente della Reggenza di Graz Corbiniano di Saurau. Quest'ultimo impose una minuziosa raccolta tra gli archivi pubblici e privati degli antichi documenti relativi alla controversia e ordinò nuove indagini tra le comunità direttamente interessate.

Grazie alla meticolosità di questa ricerca, che allora deluse le aspettative politiche di una rapida ridefinizione dei confini e portò perciò alla soppressione della stessa commissione dopo due anni di lavori, si potè formare un ingente e ordinato fondo documentario che oggi invece, conservato nell'Archivio Storico della Provincia di Gorizia, si deve considerare una fonte preziosa di notizie sulle comunità del territorio.

Fra queste appunto quella di Dolegna, convocata presso la cancelleria dei propri giurisdicenti, i conti Della Torre, a Cormons il 21 novembre 1750. La rappresentavano il decano Giacomo Zorcetig "che tall'Offitio hà sostenuto per più Anni", Tommaso Butaz e un altro Zorcetig, anch'egli di nome Giacomo, scelti fra i capifamiglia della comunità (allora denominati "vicini") "più informati delli Confini veneti" perché "vechi": di fatto, rispettivamente di 56, 60 e 50 anni.

Essi fornirono una descrizione dei limiti del loro territorio, attentamente custoditi con solenni verifiche annuali eseguite alla fine del mese di aprile "nel giorno di S. Giorgio, e S. Marco" da "tutto il Comune in corpore".

Il confine partiva da "un scoglio quasi tutto sotto terra con una Croce intagliata di longeza d'un Ditto" detto "Tatigna" nella "Comugna", ovvero nei terreni comunali verso Scriò, allora "Villa Veneta", distante da quella di Dolegna poco "più di un miglio Italiano" (ma per meglio dire veneto, pari a km. 1,7). Avvicinandosi di mezzo miglio, il confine raggiungeva, coincidendovi, un greto in cui "corre l'acqua al tempo di pioggia", indicato - con un interessante uso sincrono dello sloveno e del friulano - come un "Patocho" chiamato "Ruat". In direzione di Mernicco, anch'esso nello Stato veneto, e tendendo verso Cerò alla distanza ulteriormente ridotta di "un buon tiro di moschetto", il confine risultava letteralmente "attacato alla predetta Villa Veneta": poggiava infatti sulla casa colonica abitata da Antonio Cazarol, indicato da cinque sassi "piantati in terra" ciascuno contrassegnato da una croce. Dirigendosi verso Craoretto, anch'essa "villa veneta", il confine tornava a corrispondere al corso del Ruat fino al "Molino di Dolegna sopra il fiume Iudri", indicato da due sassi con la croce infissi sulla riva "subito dall'altra parte di detto Fiume" e distante mezzo miglio da Dolegna. Il confine seguiva poi il corso del Judrio fino al "Patocho di Lonzan", in un punto ad un miglio di distanza dal paese chiamato "sopra la trava", indicato da un sasso con la croce, ricollocato periodicamente perché "sempre dal torente dell'aqua levato". Infine il confine raggiungeva nuovamente il Ruat in direzione della "Villa Veneta" di Lonzano, mantenendosi alla distanza di un miglio.

Il territorio di Dolegna dunque risultava essere una vera e propria isola asburgica "tutta nel Recinto dello Stato Veneto, ch'alcuno puo entrare, ne uscire seno passa sopra il fondo Veneto". Ma un'isola felice, almeno dal punto di vista dei rapporti con le comunità vicine, se i rappresentanti di Dolegna dichiararono che "non habbiamo mai alcun Pregiuditio, ne Usurpo, ne Violenza, ne sconcerti dalli suditi Veneti".

Caso più unico che raro rispetto alle altre comunità di confine, che nell'analoga occasione rilasciarono dichiarazioni di tutt'altro tenore: ad esempio i rappresentanti di Cormòns, una realtà dunque territorialmente molto vicina a Dolegna, denunciarono che nell'arco di cinquant'anni i sudditi veneti di Brazzano avevano progressivamente sottratto loro il possesso di cospicui beni comunali dapprima introducendovisi anch'essi per far pascolare i propri animali e raccogliere la legna, poi impedendone con la violenza l'uso ai cormonesi, infine addirittura mettendone una parte a coltura. Essi affermarono anche che i vicini veneti, per impossessarsi di ulteriori terreni, in più occasioni avevano rimosso pietre di confine e addirittura fatto deviare il corso del Judri, inoltre avevano costruito un mulino sul torrente con una mola in territorio austriaco, permettendone l'utilizzo ai cormonesi solo a pagamento.

Secondo questa testimonianza, le stesse autorità venete, seppur in circostanze eccezionali, avevano partecipato all'usurpazione di territorio austriaco: venne infatti ricordata la costruzione sui fondi cormonesi di una postazione di guardia armata nell'ambito del sistema di vigilanza sanitaria organizzato dai veneti nel 1738 per isolare i territori austriaci in cui si stava diffondendo un'epidemia di peste.

L'organizzazione da parte veneta dei cordoni sanitari venne citata anche nella deposizione dei rappresentanti di Dolegna come un momento cruciale per la comunità. Essi raccontarono che "al tempo di sospetto del Male Contagioso, che li Veneti serano li Passi, et tirano le Linee, noi altri restiamo di quelli chiusi, et non potiamo andare nello Stato Austriaco"; specificarono però che "con tuttociò andiamo al Passo Veneto di Brazzano, ed ivi si faciamo portare dà Cormons tutto quello, che ne occore, oglio, sale ed altro".

Anche le situazioni di emergenza, dunque, non costituivano per la comunità di Dolegna un rischio di frizioni con i confinanti, ma piuttosto un'occasione di collaborazione.