CALZADILLA DE LA CUESA-EL BURGO RANERO
23/07/2002

 

Il bastone.

 

Prima di partire ero abbastanza scettico sul portarlo. Adesso ne sono felice e ne vado molto orgoglioso. Ognuno ha il proprio, fatto a misura: alto, basso, leggero, peso, fatto a mano, industriale, intagliato, rinforzato con punte di ferro. Altri optano per due, i più tecnologici per le due racchette, che gli rendono simili a degli sciatori di fondo. Io devo ringraziare il grande Renzo Poli, che fra un'ampia scelta mi ha fornito un bastone di sambuco, leggerissimo quanto resistente, alto (anche s estrada facendo ha perso dei centimetri) che io mi sono ripulito ed al quale ho saldamente fissato la Concha, la conchiglia simbolo di questo pellegrinaggio, che ne fanno uno dei bastoni più invidiati dell'intero Camino. In dei momenti è fondamentale: appiglio nelle salite, nei tratti pietrosi, ma anche nei guadi, nelle selve più chiuse, con i cani e, perché no, quando si è soli. Il suo picchiettare in terra ti fa sentire sempre in compagnia, ti sprona nel continuare. E' un segno distintivo, un aiuto prezioso e, chi prova se ne renderà conto, un'indispensabile appendice del proprio corpo. Sarà anche che con il sudore che gli si è impregnato addosso nel Camino ha preso anche il tuo odore, parte di te, ma con il bastone al termine si crea un legame quasi indissolubile.

Dopo una notte in cui i russatori l'hanno fatta da padroni, partiamo a presta ora. Le nuvole del temporale di ieri sera sono ancora tutte li, ma non piove ed il clima è l'ideale per camminare. Salutata Loredana e l'amica tedesca, che ieri sera ci hanno fatto piacevole compagnia per cena, partiamo nuovamente. Va meglio al piede, anche se la partenza è sempre difficile, ma sono le spalle e la schiena che stamani mi fanno un po' penare. Raggiungiamo facilmente, anche se con la solita strada ondulata, Ledigos, ancora completamente assopito. Dopo poco siamo a Terradillos de los Templarios: per noi significa arrivare a metà del Camino, almeno da un punto di vista strettamente chilometrico. Sicuramente è come il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Non so se essere contento o no. Per ora festeggiamo con una bella colazione presso il locale Albergue. Quindi passiamo un altro paio di paesi non rilevanti con la strada che prosegue il suo saliscendi non impegnativo, non lontano dalla Nazionale. Vediamo in lontananza le prime case di Sahagun, altro centro famoso del Camino. Una incomprensibile deviazione ci fa giungere dopo una sorta di giropesca. Pazienza. L'ostello, all'ingresso del paese, è già aperto alle 11, e appare una struttura estremamente confortevole. Una mora molto carina mi sella la Credenziale mi da le indicazioni per visitare il Centro Storico e per comprare ciò che ci serve. Anche se è un'impresa trovare l'acqua, ci fermiamo a mangiare presso un giardinetto ai piedi di una porta antica ed imponente. Il paese merita una visita attenta, con il suo ordinato centro, ricco di negozi caratteristici, ed i suoi monumenti, che ne fanno una piccola chicca. La provincia di Palencia c'è già alle spalle: adesso siamo in quella di Leon e le scritte autonomiste nei confronti della Castilla lo testimoniano ad ogni muro. Ripartiamo piano: il piede destro e le spalle provocano fitte continue. Graziano è più avanti. La strada è gradevole anche se tutta piana. Dopo Calzadilla de Coto, raggiungiamo un lungo viale che costeggia l'autostrada. Mi rendo conto delle auto che sfrecciano accanto a me: penso che quello che io percorro in una dura, infinita giornata, queste auto lo fanno in massimo mezzora. Scherzi di un mondo che ha perso la propria dimensione. Ma mi chiedo: saremo più fuori dal mondo noi "trogloditi con il bastone di legno", o chi corre senza pausa preda di un mondo che non si ferma mai ad aspettare? Raggiungo Graziano. Insieme, a ritmo non irresistibile, proseguiamo. Non stiamo bene, fisicamente, nessuno dei due, ma adesso è più la voglia di arrivare del dolore. Sono quasi le 7 quando arriviamo a El Burgo Ranero. Dopo un fronton raggiungiamo l'albergue (offerta libera, cucina, letti comodi). Non abbiamo posto e dormiremo in terra su di una coperta che l'hospitalera ci fornisce. Non è un problema. L'unica cosa che dispiace è una accoglienza tuttaltro che delicata. Ci cuciniamo: ricca cena per la quale tutti ci guardano. Hanno ragione: ciò che ci circonda è gastronomicamente un museo degli orrori.